Il Senso della Clinica
L’approccio clinico e culturale dell’Istituto Erich Fromm di Bologna.
La terapia psicoanalitica si basa sulla scoperta delle tendenze inconsce che conducono alla formazione di sintomi clinici […]. La più importante causa della rimozione è l’angoscia […]. Se un impulso viene rimosso, non per questo cessa di agire […]. I processi di rimozione sono soliti presentarsi solo quando l’impulso non viene sottoposto al giudizio di una singola persona o di più persone, ma quando esso viene negativamente considerato dal gruppo sociale di cui il soggetto fa parte […]”. (Erich Fromm)
Perché il senso della clinica? Clinica in etimo vuol dire “l’arte di curare il malato” e Fromm utilizza molto spesso il termine “arte”, collocandola in molte situazioni in cui c’è la partecipazione del sentire, ascoltare, ascoltarsi e quindi della relazione profonda tra esseri umani, quale fondamentale elemento terapeutico.
Cos’è un essere umano? Dove comincia, dove finisce? È la pelle il confine, quanti organi lo compongono e quanti se ne possono “sfilare” senza che lui smetta di essere quello che era?
Il nostro organismo, naturalmente psiche compresa, subisce continui mutamenti; mutamento di qualcosa che emotivamente c’è stato ed in parte c’è ancora, non come prima, ma c’è; la vita umana è quindi frutto di una relazione “interna” ed “esterna”; ovvero tra sé e sé e tra sé e gli altri.
Questo mi porta ad affermare che non è possibile occuparsi o, meglio ancora, farsi carico della salute, della vita stessa di un essere vivente, senza studiarne i rapporti emotivi, affettivi ed anche lavorativi.
A proposito della valutazione della cosiddetta capacità clinica che ciascuno agisce in clinica psicoanalitica, non credo ci possano essere dei parametri misurabili, in quanto, fondandosi sulla relazione terapeutica, diventa difficile utilizzare misuratori di efficacia.
La ragione per cui nel nostro Ordinamento Didattico sono state inserite materie considerate da taluni inadeguate e/o inopportune per la formazione psicoterapeutica-psicoanalitica, nasce dal fatto che l’obiettivo che abbiamo avuto sempre molto chiaro, sia stato di sollecitare la psiche di chi si accinge a fare il lavoro di psicoterapeuta, ad aprirsi alla curiosità di conoscenza di tematiche che riguardino la cultura, come pure i comportamenti e le relazioni tra gli esseri viventi.
La formazione psicoanalitica personale, come pure quella effettuata con la partecipazione ai gruppi psicodinamici, la consideriamo la cifra caratterizzante il nostro progetto formativo, in quanto si apprendono le modalità di relazionarsi profondamente e dinamicamente con sé e con i pazienti.
L’arte, appunto, di saper utilizzare il proprio sé, per la comprensione e la ricezione del disagio dell’altro, al fine di aiutarlo, senza interpretazioni manipolatorie o suggerimenti operativi, a trovare la sua strada imparando ad utilizzare le sue risorse; questo non può essere effettuato utilizzando una sorta di copia-incolla comportamentale, bensì entrando nel profondo della relazione terapeutica; ciò ci fa comprendere un altro elemento fondamentale, ovvero che, come psicoterapeuti, non possiamo essere “adatti” per tutti i pazienti.
A questo proposito voglio utilizzare una metafora: se due persone anche molto vicine guardano l’arcobaleno nello stesso momento non hanno la medesima percezione ottica in quanto le gocce d’acqua che determinano la visione dell’arcobaleno hanno una collocazione spaziale e temporale diversa a seconda del punto di vista di ciascuno. Lo stesso vale per la percezione emotivo-relazionale nel setting terapeutico, la percezione e la capacità di collocarla determina il work in progress continuo della relazione terapeutica; punti di vista, percezioni, vissuti, allocazioni fanno sì che si realizzi l’arte della psicoanalisi.