Per la Rubrica ORIZZONTI: Il sognatore. Temi umanistici a cura di Giuseppe Battaglia. Presentazione di libri e articoli psicoanalitici – letterari, per una ricerca costante, un aggiornamento permanente, ad orientamento interpersonale – relazionale.
Questo è il volume primo dell’opera omnia su Dostoevskij, del poeta, filosofo, critico letterario, Giuseppe D’Ambrosio Angelillo, opera totalmente autoprodotta edita dalla sua piccola casa editrice Acquaviva. Questo solo volume è una raccolta di oltre 400 pagine, dedicato al padre e alla madre con bene infinito. L’opera è suddivisa in undici parti, “Giobbe nella spazzatura/ Dostoevskij/ Povera gente/ Il Sosia/ Il signor Proharchin/ La Padrona/Cuore debole/Le notti bianche/Davanti al patibolo/Il ladro onesto/ Netocka. D’Ambrosio si propone un piano ambizioso, scovare ciò che in Italia e forse neanche in Russia è mai stato fatto, stanare la visione del mondo, la filosofia del poeta russo. Dostoevskij dice D’Ambrosio, entrando nel tumulto dell’anima era il massimo dell’umiltà, nella sua vita si è sentito sempre discepolo. Il suo segreto era quello di imparare da tutti, dal mendicante, dal diseredato, dalla povera gente, questi furono i protagonisti dei suoi racconti. Dalla loro vita imparava ciò che gli serviva per capire il dramma dell’uomo, il suo dramma, non è un sistema di pensiero sviluppato a tavolino, ma una filosofia che salta fuori dalla vita. Dostoevskij scriveva a Pietroburgo, a Mosca, incatenato in Siberia, anche a quaranta gradi sottozero, scriveva con la consapevolezza che noi non sappiamo cosa vogliamo da noi stessi, nascosti agli altri, restiamo per sempre esseri incompiuti. D’Ambrosio dice : “ …… siamo enigmi a noi stessi: possiamo diventare per gli altri delle Sfingi, delle maschere assolutamente incomprensibili, perché siamo calati nelle tenebre del nostro presente e non riusciamo ad illuminare quello che siamo nella nostra spiritualità, ….. nel nostro stare al mondo, cioè di quello che stiamo facendo e progettando. Su questo si fonda il mistero dell’esistenza umana”. Poi, in linea con lo scrittore russo dice che, qualcosa comunque possiamo capire, perché siamo i custodi dei nostri segreti, la chiave sta dentro di noi. Giuseppe non è uno psicoanalista brevettato e sentite come continua: “il segreto è l’incontro con noi stessi”, “l’uomo è fatto di miseria e ipocrisia”, dico io, questo è il falso essere, il luogo sconosciuto dove andare a cercare le contraddizioni, le rotture dell’esistenza. Stiamo parlando del teatro dell’inconscio dove le maschere danzano folli tragedie intorno ad un corpo che brucia come una torcia, prigioniero dentro la scorza. Theodor Reik parla di terzo orecchio per ascoltare se stessi e gli altri, ma dove si deve rivolgere questo sensibile organo? Il filosofo di Acquaviva ci dice che i segreti d’ascoltare sono dentro di noi e che noi abbiamo la chiave per aprire porte dell’ignoto. La chiave rovente che fu l’inferno di Dostoevskij che per missione decise d’essere scrittore con l’intento di mettere in scena i controsensi, i fantasmi che in ogni istante si muovono dentro le tenebre e pongono pressanti domande su come concludere il misero giorno. Domande sull’assoluto, sull’infinito ritorno dove vita e morte sono incluse e si alternano sempre, è il ritorno anche del gioco dell’esistenza, dove è racchiuso il mysterium tremendum et fascinans che in ogni istante sconcerta l’anima, la ragione, forse per questo lo scrittore fu anche giocatore. … Dostoevskij racconta storie di persone del suo tempo, ma la sua grandezza consiste nell’aver saputo cogliere e rappresentare la contraddittoria spiritualità dell’uomo di sempre, perciò resta attuale. Dice D’Ambrosio, è difficile afferrare e interpretare Dostoevskij e chi tenta di farlo prende cantonate, riporta l’esempio di Sigmund Freud che interpretò i Fratelli Karamazov come complesso di colpa che Fjodor aveva verso il padre, quindi come una segreta intenzione di parricidio, il poeta pugliese dice che Freud “spiega se stesso, le proprie convinzioni e le proprie teorie, ma non spiega assolutamente Dostoevskij”. Dostoevskij ammonisce coloro che salgono in cattedra, quelli che si ritengono degni, raccomanda di non farsi grandi, di non puntare il dito contro gli altri, allora: “… tu devi misurare non la loro indegnità, ma la loro infelicità. Cogliendo l’infelicità, tu non potrai giudicarli, potrai avere soltanto compassione di loro e quindi non potrai fare altro che cercare il loro bene, perché ciò che gli uomini desiderano è sempre più puro di ciò che manifestano”. In questo passaggio possiamo vedere come la speranza in Dostoevskij si fa colonna portate per se e per le persone che lo circondano che poi sono i personaggi dei suoi romanzi. L’indagine per la costruzione delle storie, per la rappresentazione dell’anima dei dannati, parte sempre con degli interrogativi: “ Perché offendono? Perché ammazzano? Perché sono malvagi? Perché sono cattivi? Gli interrogativi sono utili e funzionali perché permettono di andare ad afferrare dove il fuggiasco scappa per paura, di andare dentro la stanza del magma, sede delle più intime ribollenti motivazioni, quelle indicibili agli altri e a se stessi. Dostoevskij dice sono così, parlando anche di se, “perché non c’è nessuno che li ama”. L’uomo vive una scissione, un distacco da se, dall’altro e dalla natura, è alienato, separato da quello che pensa da quello che sente, in questa terribile condizione è difficile sapere anche che cosa è amore, dunque non sa neanche cosa chiedere, cosa cercare. Per Dostoevskij il bosco d’attraversare è quello di un umanesimo totale che toglie dal volto il velo alla dea natura l’enigma, che non si mostra da cui sorge il mistero, il tremendo il fascino anche dannato dell’esistenza. Dostoevskij è vicino al “Discepolo di Sais” la favola di Novalis, dove Giacinto cerca la dea che dopo un lungo cammino la trova in un luogo fatato, ma prima di entrare si addormenta perché per entrare in quel sacrario, dice Novalis, bisogna sognare. Questo è il sogno dell’artista, del poeta che alberga nell’uomo, in ogni singolo uomo. Giacinto entra, dopo un lungo percorso, nel sacrario e vede la dea col volto velato, si avvicina col cuore palpitante, alza il velo e vede Fiordirosa, la sua amata e nelle pupille vede riflesso se stesso. L’utopia di Dostoevskij, dice D’Ambrosio è quella possibilità che l’uomo ha d’incontrare se stesso attraversando il terreno dell’amore, non c’è altra via per il raggiungimento della sapienza. In un suo romanzo il poeta russo dice : “ Chi ama sa tutto, non ha bisogno d’imparare più alcunché, perché li c’è l’intera filosofia di tutta la storia del genere umano!”. Il critico letterario Lukacs in “Teoria del romanzo” dice che il narratore russo diversamente dagli altri grandi romanzieri che parlano del passato, in Dostoevskij c’è il presente e una grande dimensione del futuro. L’uomo dice E. Fromm, può diventare: < peccatore e santo, … bambino e adulto, … mentalmente sano o turbato, … uomo del passato e del futuro > ( E. Fromm, 1964). …….< L’esperienza umanistica consiste nella sensazione che niente di ciò che è umano mi è estraneo, che “io sono tu”, che io possa capire un altro perché entrambi abbiamo in comune i medesimi elementi dell’esistenza umana … >.
Giuseppe Battaglia
In copertina: Lisa Pasuke, Il giovane Dostoewskij