Per la Rubrica ORIZZONTI: Passaggio fra le fiamme. Temi umanistici a cura di Giuseppe Battaglia. Presentazione di libri e articoli psicoanalitici – letterari, per una ricerca costante, un aggiornamento permanente, ad orientamento interpersonale – relazionale.
Presentiamo alcuni temi centrali sul Pensiero, la Vita e la Narrazione di Dostoevskij, trattati da Giuseppe D’Ambrosio Angelillo nell’opera omnia, composta da 9 consistenti volumi. L’opera monumentale, nasce da un corso serale durato quattro anni, dall’ottobre del 1992 al maggio del 1996. Il testo proposto da Angelillo ha un tono, come Lui stesso dice, discorsivo e uno stile dialogico, per sfuggire alle secche dell’esposizione accademica. I temi dostoevskijani, sotto esposti, sono presenti un po’ in tutta l’opera, io li ho tratti da l’Uomo del Sottosuolo 3 (a partire da p. 299) in cui Giuseppe mette in chiaro la concezione della psicologia umana.
Dostoevskij nella descrizione dei personaggi, osservati nella realtà, distingue l’uomo di cultura dall’uomo di natura. Dal nostro punto vista, ma forse anche da quello del poeta, non esiste nessuna di queste due condizioni allo stato puro, ma una mescolanza delle due strutture caratteriali che oscillano verso una o l’altra condizione e questo lo decidono i mostri interni come dice Nietzsche.
Utilizzando la metafora freudiana, possiamo dire che l’uomo di cultura è l’uomo dell’Io, della ragione che deve lottare con la realtà, mentre quello di natura è l’uomo dell’Es selvaggio che non accetta ragioni e passa immediatamente all’azione. Per Dostoevskij “chiaroveggente” l’uomo di cultura è l’uomo che pensa, l’altro è quello che agisce emozioni e passioni senza tanto ascoltare la ragione. Qui salta fuori la grande contraddizione nei personaggi dostoevskijani, dove pensare ed agire sono due poli che nella mente si attraggono, si respingono e si possono combinare nello sesso istante. Da questa battaglia salta fuori il conflitto esistenziale della natura dell’uomo necessitato a collocare il suo essere nel tempo.
D’Ambrosio dando la parola a Kierkegaard dice: “che agire è spezzare il pensiero perché se uno si lascia incarbugliare dalle sue spire non la smette più, si avvita su stesso e pensa sempre. Con un linguaggio psicoanalitico si direbbe che sviluppa un pensiero ossessivo. Allora il filosofo danese (1813 /1855) dice, nello stesso periodo in cui Dostoevskij sta pensando alle contraddizioni che caratterizzano la natura dell’uomo (1821 / 1881), che : “ Per risolvere il problema d’un tratto bisogna smettere di pensare e agire “.
Dostoevskij descrive l’uomo suo contemporaneo, ma la struttura delle emozioni e del pensiero è cambiata poco, possiamo dire che quelle contraddizioni non solo sono attuali, ma universali. Il messaggio dice D’Ambrosio è molto chiaro: siamo un po’ tutti uomini del sottosuolo abbandonati a noi stessi, in cui cultura e natura cozzano con la realtà, diventa difficile uscire all’aperto in modo realistico e qui sta il nodo da sciogliere per l’uomo di cultura immerso nelle sue paure.
L’uomo è dentro la sua tragedia sul palcoscenico delle tragedie, non ha l’attrezzatura giusta per affrontare il vero nemico perché questo lo abita all’interno e lo terrorizza. D’Ambrosio riprende per un attimo il tema centrale del Sosia, secondo romanzo di Dostoevskij per dire che in questa coscienza c’è una spaccatura che divide l’uomo in due, mentre quello che abita nel sottosuolo è frantumato in centomila spezzoni. Pone l’attenzione su “Uno, Nessuno Centomila” di Pirandello dove i centomila fanno pressione dall’esterno e sono la rappresentazione di ciò che gli altri pensano, per dire che c’è un interno in comunicazione con l’esterno a cui bisogna rendere conto.
Per Dostoevskij, la coscienza dell’uomo può essere spaccata in due o frantumata.
Gli abitanti del sottosuolo affollano la stessa casa, sono voci che si accavallano che presentano con la stessa urgenza le loro contraddittorie richieste. A questo punto possiamo dire che gli attori, che sono anche maschere, vengono descritti da Dostoevskij, con un certo anticipo rispetto al pensiero psicoanalitico, i due stati psichici tendenti alla nevrosi o alla psicosi. L’uomo del sottosuolo è quel tipo che spinge la coscienza all’infinito, che è morso perennemente dall’angoscia. La notte non dorme o dorme poco, il disagio interno in certi momenti diventa forte, non sa se uscirne e come uscirne, la morte diventa un dilemma permanente. Sceglie di vivere perché ha imparato a trasformare il doloroso dilemma in creatività e in questo atto, ritrova la parte mancante della sua nascita, mentre scrive il suo racconto ritrova parti della bellezza del suo Io.
La vita disperata, dice Angelillo, continua nella ricerca dell’episodio che farà nascere l’anima : “ Sappiamo benissimo cos’è questa storia. E’ la storia d’amore, che ognuno di noi cerca disperatamente ……… . Senza quella storia la coscienza si perde nel suo caos, quindi siamo tutti uomini del sottosuolo. Per Angelillo che sposa l’orientamento del poeta russo, la coscienza consapevole è quella dell’uomo di cultura perché quella dell’uomo di natura si comporta cosi come gli viene, per istinto.
“ L’ uomo di natura ha un vizio, quando arriva di fronte all’impossibilità si ferma, non riesce ad andare oltre perché riconosce l’impossibilità come fatto di natura, come Fato, come Destino, e quindi non può battersi contro qualcosa che è già in lui stesso. Dico io questo è l’uomo in fuga. L’uomo di natura si sente egli stesso una forza inserita nell’universo globale della natura stessa. …… è un uomo che replica senza nessun tergiversare, replica e non si pone il problema che può recare danno a un altro uomo, non si pone problemi di umanità ….. l’uomo di cultura si fa una caterva di problemi e poi alla fine finisce col non agire e quando agisce non riesce mai soddisfacente neanche per se stesso”.
Dostoevskij vede la società come mercato delle coscienze e ne individua le cause nel potere e nel denaro, vede la società come amplificatore di patologia, con le parole usate come sferza dice: “ Avere coscienza è una malattia, avere coscienza è un male, perché uno sa che è un ripudiato da sé. Sa che è un venduto, un prezzolato.” Ma allo stesso tempo nella coscienza c’è qualcosa che si ribella, però l’uomo di cultura non ha il coraggio di ribellarsi fino in fondo e allora si lascia trascinare dal fango ma allo stesso tempo si presuppone come superatore del fango stesso (p.304).
La contraddizione colta da Dostoevskij fra uomo che pensa e uomo che agisce, che poi è la sua, mi fa pensare a Gorgia da Lentini (485 / 375 a.C. circa) il cui messaggio più di 2000 anni fa sembra essere l’agnosticismo, lo scetticismo metafisico, cioè l’impotenza umana a parlare dell’essere. Gorgia presenta una concezione tragica del reale, ritiene l’esistenza qualcosa di irrazionale e misterioso. Per questo filosofo, le azioni dell’uomo non sono rette dalla logica e dalla verità, ma dalle circostanze, dalla menzogna, dalle passioni o da un ignoto destino, il quale fa sì che gli individui si rivelino, “determinati” e “incolpevoli”, essendo permanentemente in preda a qualcosa che li supera e li tiene in pugno. Elena, creatura della cultura, agisce e spezza il pensiero non si lascia incarbugliare dalle sue spire, non si avvita su stessa, agisce e scappa con Paride. Nell’encomio di Gorgia risulta “senza colpa”, poiché la sua volontà è stata soggiogata da forze sconosciute, quelle che il poeta russo attribuisce all’uomo di natura, dunque, alla psiche più profonda.
Agelillo ci dice che per Dostoevskij bisogna andare oltre l’uomo di natura e di cultura, di andare dentro il caos, in fondo al dissolvimento e viverlo realmente senza nascondere la disgregazione. Se ipocritamente si nasconde la coscienza disgregata, la disgregazione non si supera mai, non si prenderà mai coscienza. Anche nell’inferno si può trovare un sorriso che a Dostoevskij gli arrivava dall’ironia che lui faceva su se stesso, Angelillo dice:” che con quel sorriso sguscia via dalla coscienza disgregata e come dire si salva da quel mondo che va a pezzi, che si dilegua, lui, Dostoevskij con la sua ironia, non va a pezzi, ne come artista ne come uomo” e scrive la storia che vive.
Dunque con l’ironia si può percorrere il caos, con il sorriso, come atto di coscienza si possono congiungere le due nature di cui parla il poeta russo, fino ad incontrare quella storia d’amore, che ognuno di noi cerca disperatamente. Disturbando il sonno di Nietzsche possiamo dire che storia d’amore può essere l’incontro con quella nuova umanità in cui il divino non è esteriorizzato in divinità ma è interiorizzato nell’azione di chi incontra sé stesso incontrando il mondo. Quelle di Dostoevskij non sono risposte per entrare nel paradiso, ma possono essere strade non asfaltate per attraversare le fiamme del sottosuolo.
Giuseppe Battaglia