Tempi incerti: Psicoanalisi e paura

Il Dott. Juan Flores, psicologo psicoanalista e segretario generale IFPS (International Federation of Psychoanalytic Societies) espone queste interessanti riflessioni su quello che stiamo vivendo in tempo di pandemia, su chi siano i soggetti più colpiti nonostante egli definisca il virus “democratico” e le conseguenze sociali future che potrebbero presentarsi. Riteniamo utile proporre la traduzione oltre al testo originale.

Senza dubbio stiamo vivendo un momento che sentiamo come eccezionale. Un momento che percepiamo come il comparire di un evento che rompe i modi di vivere apparentemente stabili ai quali siamo abituati, rompendo le certezze nelle quali viviamo il nostro quotidiano. Questa situazione ci obbliga a presumere che tali apparenti certezze fossero solo supposte, questo senza dubbio ci scuote e ci indebolisce.

L’esposizione attuale alla paura della morte e alla malattia, ci mette di fronte alla possibilità che si verifichi il crollo dei nostri sogni e delle nostre aspettative sulle quali abbiamo costruito ciò che ci spinge nel nostro cammino di vita. Il presente inizia a sentirsi, a volte, come un peso continuo con un orizzonte grigio e diffuso, così il futuro è sospeso e minacciato. Quindi, nei momenti bui come quello attuale, l’illusione di un futuro che immaginiamo più luminoso è necessaria per sostenerci, sebbene siamo allo stesso modo assaliti dai dubbi su questo necessario sogno.

Probabilmente, visto in retrospettiva, questo tempo sarà percepito come uno delle tante situazioni che ci espongono a questa sensazione di impotenza così caratteristica dell’essere umano, la sensazione cioè di essere così fragili di fronte alle avversità e di essere dentro a un rischio permanente di possibile malattia, di dolore emotivo e all’imprevedibilità della natura. Forse il carattere globale e l’enorme copertura mediatica contribuiscono in gran parte alla percezione che ciò che sta accadendo oggi sia vissuto come qualcosa di unico e straordinario. Sappiamo dolorosamente di essere sempre esposti ad incidenti, ossia a quei fatti che sfuggono al controllo e a tutte le nostre aspettative. La totale mancanza di controllo è ovviamente una delle cose più difficili da tollerare nella vita dell’essere umano. Forse proprio per questo motivo oggi stiamo assistendo a numerose dichiarazioni, piene di emozioni travolgenti e di speranza, secondo cui l’esperienza attuale potrebbe modificare le relazioni tra gli esseri umani e apportare cambiamenti radicali nella relazione con l’altro.

Siamo stati testimoni di una serie di reazioni quasi mistiche, nei termini di tradurre i tempi attuali come la conseguenza dell’esserci allontanati dal sentiero “buono”, dell’esserci allontanati dalla natura, o di aver fatto prevalere l’egoismo umano sopra ogni cosa. Tuttavia il rischio è che questa posizione sia una reazione segnata dall’angoscia e dal colpevole rimorso, più che una reale possibilità di cambiamento alla base del nostro modo di legarci. Qualsiasi possibilità di raggiungere cambiamenti profondi, richiederà una lotta continua con noi stessi, così come l’affrontare i poteri che resisteranno a qualsiasi modifica strutturale.

Oggi assistiamo piuttosto ad un indebolimento dei legami, ad un’incertezza che minaccia il futuro e pone a rischio la vita. Oltre a questo, la sensazione che i prossimi tempi saranno complessi e difficili, contribuisce alla percezione di un ambiente fragile e incerto. Il coronavirus è democratico in quanto attacca tutti allo stesso modo, peró non lo è nelle sue conseguenze. Tutte le statistiche mostrano che i poveri e le popolazioni emarginate (i nostri poveri in America latina, gli afroamericani negli stati uniti, gli immigrati in Europa eccetera), sono i principali gruppi attaccati. Sono loro che a causa delle condizioni materiali in cui vivono, a causa della debolezza dei sistemi sanitari, a causa dell’inevitabile esposizione del loro corpo alle necessità di mobilitarsi, interagire e dover condividere i sistemi di trasporto collettivo, subiranno maggiormente gli impatti del contagio sulla propria pelle. Le frasi che ascoltiamo continuamente sullo “stare a casa“, sul promuovere “l’isolamento sociale”, sullo “sviluppare il telelavoro”, sembrano essere slogan che mostrano, nel far fronte a questa pandemia, una certa negazione dei conflitti sociali e delle forme di disuguaglianza causate dalle condizioni materiali di vita.
È quindi probabile che siamo di fronte a due possibili direzioni verso cui si potranno dirigere le dinamiche sociali. Da una parte, c’è la possibilità che il perdurare del confinamento, unito a una precarietà economica, generi un aumento dell’angoscia e dell’ansia, con il conseguente sviluppo di un processo di indebolimento del tessuto sociale, il quale va ad aggiungersi ad azioni anche violente che possono provocare climi che accrescono i conflitti differiti, e quindi risposte che privilegiano lo scarico della frustrazione senza alcuna elaborazione e senza una direzione che produca reali cambiamenti.
L’altra alternativa è un’elaborazione di questa esperienza che come risultato ci renda disponibili a lavorare per nuovi accordi, sviluppando un rafforzamento dei legami, promuovendo una solidarietà reale e valorizzando nuovamente l’importanza del collettivo come supporto sociale.

Possiamo sentire la pandemia come qualcosa che attacca ciò che ci sostiene e ci unisce agli altri, come un nemico invisibile e nascosto. Essa ci invade senza senso e senza legge, generando una grande paura, e per questo desideriamo trovare spiegazioni sull’origine e sulle cause di quanto ci succede. Quindi siamo sedotti e attratti dalle varie teorie del complotto e delle cospirazioni, le quali cercano di rendere coerente e comprensibile ciò che ci disturba in modo occulto. Come in tutte le situazioni di cui non abbiamo il controllo, la paura ci invade, trasformandosi in un’altra temibile pandemia. La paura ci fa reagire impulsivamentee porta alla comparsa di aspetti molto arcaici che minano alla solidarietà ed alla collettività. La paura è anche uno dei più importanti motori dell’ansia e della violenza contro il prossimo, che porta al riaffiorare della condizione più primitiva: percepire l’altro come un nemico.
Pertanto, dobbiamo affermare che un pericolo sempre possibile è rappresentato da un mondo in cui dominano il controllo dei corpi, il disciplinare le attività quotidiane, e il vigilare i contatti sociali. Di fronte a tutto ciò, siamo invitati a compiere un grande sforzo: rafforzare il legame con gli altri e quello sociale, far sì che le reti di solidarietà diventino il supporto per affrontare un altro virus anch’esso potente e permanente: quello che afferma che la risposta fondamentale sia il rifugiarsi soltanto nella difesa individuale, e quello che cerca di costruire come garanzia di trionfo la nozione per cui ciascuno si difenda come può.

Articolo originale: